Il principio generale accolto da tempo dalla Corte di Cassazione è che i provvedimenti dell’Autorità giudiziaria in materia di affidamento dei figli di età minore consentono restrizioni al diritto di visita dei genitori solo nell’interesse superiore del minore e che nel perseguimento di tale interesse, deve essere sempre assicurato il rispetto del principio della bigenitorialità, inteso quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi i genitori, nel dovere dei primi di cooperare nell’assistenza, educazione e istruzione della prole.
Con una nota decisione il Tribunale di Milano, ad esempio ha stabilito che vi è una sensibile differenza tra regolare i tempi di permanenza e limitarli significativamente: e per adottare limitazioni al diritto e dovere dei genitori di intrattenere con i figli un rapporto continuativo, è necessario dimostrare che da ciò può derivare pregiudizio al minore. Il preminente interesse del minore, infatti, cui deve essere conformato il provvedimento del giudice, può considerarsi composto essenzialmente da due elementi: mantenere i legami con la famiglia, a meno che non sia dimostrato che tali legami siano particolarmente inadatti, e potersi sviluppare in un ambiente sano e che «la genitorialità si apprende facendo i genitori» e, dunque, solo esercitando il ruolo genitoriale una figura matura e affina le proprie competenze genitoriali; il fatto che, al cospetto di una bimba di due anni, un padre non sarebbe in grado di occuparsene, è una conclusione fondata su un pregiudizio che confina alla diversità (e alla mancanza di uguaglianza) il rapporto che sussiste tra i genitori.
La risposta, quindi, è sì anche un bambino di due anni può già pernottare presso il padre a meno che venga dimostrato che questo possa essere, per circostanze gravi e precise, di pregiudizio per il bambino.